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Quanto rimane il PCP nelle urine, sangue e capelli?

La fenciclidina (PCP), chiamata in gergo “polvere d’angelo” o “pillola della pace”, è una sostanza allucinogena sintetica particolarmente diffusa negli anni ‘70 e ‘80, soprattutto negli Stati Uniti. Nasce negli anni ‘50 come anestetico per interventi chirurgici, ma il suo utilizzo è stato sospeso a causa di effetti collaterali nei pazienti, come stati deliranti, psicosi e agitazione nel periodo post-operatorio. Il PCP è chimicamente simile alla Ketamina, anche se ha effetti collaterali maggiori di quest’ultima.

È utilizzato prevalentemente sotto forma di polvere o di liquido e può essere sniffato o applicato su sostanze che vengono in seguito fumate, come tabacco o marijuana; il motivo di questa modalità di assunzione è dovuto al fatto che gli effetti della droga si manifestano prima rispetto ad altri metodi. Tra gli effetti della fenciclidina troviamo: allucinazioni uditive e visive, euforia, dissociazione, sensazione di forza e invincibilità, fino ad arrivare a convulsioni, coma e decesso. Sono stati riportati anche comportamenti violenti e impulsi suicidi. Non sono ben noti gli effetti specifici di un uso cronico di PCP, tuttavia si ipotizzano danni permanenti al Sistema Nervoso Centrale. 

I test tossicologici possono essere utilizzati in diverse situazioni per determinare se una persona abbia fatto uso di sostanze stupefacenti psicotrope oppure no. In alcuni ambienti lavorativi si effettuano screening sistematici o randomizzati sulle persone (ad es. atleti, forze dell’ordine, piloti), oppure la polizia può valutare l’ipotesi di effettuare dei test nelle persone coinvolte in incidenti stradali. In ambito lavorativo se ne occupa il medico del lavoro, ma al di fuori delle aziende può essere sostenuto sia in laboratori pubblici che privati a pagamento, ne esistono anche di acquistabili in farmacia o online da fare a casa. 

Prima di effettuare il test può essere necessario fornire il proprio consenso, a seconda della giurisdizione e della situazione. Con i test non è possibile determinare la frequenza e l’intensità del consumo di sostanze e quindi non è possibile differenziare un consumatore occasionale da un altro con problemi più gravi, se non ripetendo l’esame nel tempo.  Il medico valutante può utilizzare altre modalità, come anamnesi o questionari, per stabilire il grado di compromissione della vita del singolo paziente. Inoltre, i test tossicologici indagano un numero limitato di sostanze (alcol, anfetamine, cocaina, marijuana, oppioidi naturali e semisintetici, fenciclidina tra i più frequenti).

I test possono essere di diverse tipologie: delle urine, del sangue e del capello. Ogni test ha una sensibilità diversa nella rilevazione del “metabolita”, cioè le sostanze che vengono prodotte dal metabolismo della sostanza, inoltre i tempi di rilevabilità possono variare da poche ore, fino a diversi mesi. È importante ricordare che le variabili in gioco in relazione all’esito del test, sono molteplici e assolutamente soggettive. C’è da tenere in considerazione la modalità di assunzione, la frequenza di utilizzo della sostanza, la sua purezza, a cui si aggiungono le variabili individuali (ad esempio la corporatura). L’unico modo efficace per evitare la positività al test, è interrompere l’utilizzo della sostanza, solo in questo modo si ha la certezza di risultare negativi!

Dagli studi emerge che il tempo di permanenza del PCP nelle urine può variare dai 5 ai 14 giorni; con test del sangue specifici si è positivi tra 1 e 2 giorni dall’ultima assunzione; il test del capello copre uno spazio temporale maggiore di circa 90-120 giorni dall’ultima assunzione. 

Lo sapevi che:

  • Il test del capello è l’unico strumento di indagine che permette un’analisi reatrospettiva: l’arco temporale in cui si è fatta l’assunzione di droghe corrisponde alla lunghezza del capello o del pelo. Indipendentemente dalla modalità di assunzione, le tracce delle sostanze rimangono a lungo nella struttura capillare.
  • Gli effetti collaterali del PCP sul Sistema Nervoso Centrale sono simili a quelli generati dagli allucinogeni, a cui si aggiungono effetti psichedelico-dissociativi, motivo per cui questa sostanza viene classificata come droga dissociativa. Può arrivare ad alterare il sistema percettivo, portando chi la assume a vivere un’esperienza “al di fuori dal corpo” chiamata “depersonalizzazione”. 

Dubbi e domande:

Anonimo,
Volevo sapere quanto restano le tracce di cocaina nelle urine, nel sangue…
Anonimo, 25 anni
Devo fare test antidroga periodicamente, ma ho assunto funghetti…


Guida ironica di “Vanity Fait Italia” su come superare un test antidroga…