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Il diabolico in psicoanalisi, tra lato oscuro del sé e tradimento

Di Renzo: Il bene va scelto perché il male è ineliminabile

“Come stabilire cosa sia il bene e cosa il male? Chi siamo noi per dirlo?”, chiede provocatoriamente Claudio Widmann, psicoanalista junghiano e socio didatta Icsat. 

“Il male è una parte della totalità e ad avvalorarla come male è la coscienza – chiarisce l’analista- che è intrinsecamente dissociativa. Se l’inconscio è lo statuto psichico della commistione, della confusione, la coscienza è separativa, distingue tra giorno e notte, tra bene e male”.

Ad approfondire l’argomento è lo psichiatra Carlo Melodia, coautore del libro ‘Il male agito. Prospettive dal lato oscuro della psiche’ (Franco Angeli), oggetto della presentazione di questo Venerdì culturale promosso dalla Fondazione Mite insieme all’Istituto di Ortofonologia (IdO). 

Il male, secondo Melodia, può essere definito come “il lato oscuro del sé”. Un’immagine che fa subito volare Widmann “nel fondo dell’inconscio, dove c’è Lucifero, il più diabolico”. Nella Divina Commedia, infatti, l’angelo che si ribellò a Dio viene descritto come “uno e trino, piantato nella ghiaccia con ali di pipistrello e tre facce. È il Dio inferiore, è lui l’ombra del sé- precisa lo psicoanalista e autore del libro ‘La Commedia di Dante come percorso di vita’- perché Lucifero abita una regione dell’inconscio molto particolare: quella del tradimento. Con tutta la relatività che appartiene all’ombra assoluta, l’ombra del sé tradisce i progetti della totalità psichica individuale e collettiva. Sono progetti che cambiano da persona a persona, da collettività a collettività, da epoca a epoca”.

Il lato oscuro del sé potrebbe essere anche solo una funzione che “ci costringe a vedere che un fenomeno dissociativo può avere uno scopo in sé, nel ridurre il dolore in chi è stato profondamente danneggiato e fa fatica ad affrontare la vita in una totalità: deve viverla a compartimenti stagni. Sono difese- precisa Melodia- il miglior modo per sopravvivere in condizioni avverse”. Non può essere quindi “facilmente inquadrabile il nostro rapporto col male- sottolinea Magda Di Renzo, psicoanalista e responsabile del servizio Terapie IdO- è la coscienza intrinsecamente separatista che ha bisogno di definire. Così mi torna spesso in mente la frase di Jung ‘il bene va scelto’”, perché “è facile assumere residenza nel male per non confrontarsi con i cambiamenti e le forze. Il male è ineliminabile ed è per questo che parliamo di scelta, per tenere sempre presenti le polarità tra bene e il male, per onorare il Sé in contatto con l’Io”.

Dove possiamo trovare il male? Un esempio è il digitale, un grande bacino del male dell’inconscio collettivo, ma che allo stesso tempo lancia una sfida per l’uomo nuovo. “Il sociologo Masi ci fa sapere che se fino al lockdown lo smart working era praticato solo da 600mila persone, adesso l’incidenza raggiunge gli 8 milioni. Un cambiamento epocale e con il quale dobbiamo fare i conti”, afferma Bruno Tagliacozzi, coordinatore della Scuola di Specializzazione IdO-Mite. I conti il collettivo li dovrà fare anche con la sua incapacità di coniugare le dinamiche Senex-Puer: “Ne è esemplificativo il passaggio dal Lockdown all’apertura, o ancora il tentativo di inventare come strumenti di risurrezione il bonus monopattino e il bonus vacanze- ricorda Widmann- tipici di un’ideologia Puer”. Questo evidenzia l’assenza del limite: “Se il limite non viene imposto nasce dall’esperienza e quindi nasce dalla coscienza personale e collettiva, attraverso la cultura. Quello che manca oggi è l’accompagnamento, l’esperienza guidata, il desiderio di accompagnare pazienti e figli per fargli sperimentare il limite facendo esperienza e non attraverso il limite imposto. Come dire- conclude Melodia- si è spento il controllo del patriarcato e non si è ancora bene acceso un accompagnamento del paterno, e quindi del limite stesso”.