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Disturbi, IdO: Fare diagnosi o terapia è come disinnescare un ordigno

Vanadia (NPI): Consapevoli che intervenire sullo sviluppo significa lavorare sul filo giusto

“Possiamo immaginare il ruolo di chi fa diagnosi o terapia come quello di un artificiere che si trova davanti a una bomba da disinnescare: per sapere quale sia il filo giusto su cui intervenire dobbiamo necessariamente sapere a cosa corrispondano anche tutti gli altri fili”. Parte da qui Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile e responsabile dell’Area clinica specialistica dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), per introdurre il tema della ‘Valutazione integrata nell’infanzia’ nel corso della prima delle due giornate precongressuali interamente in live streaming su Ortofonologia.it. “Quella della bomba è un’immagine che credo rappresenti bene cosa significa avere a che fare con i bambini molto piccoli- spiega Vanadia- nel senso che dobbiamo conoscere approfonditamente ciò di cui ci stiamo occupando, ancor più perché loro non sono in grado di verbalizzare quello che sentono e quello che provano. E significa poi essere consapevoli della possibilità di ‘salvare’ lavorando sul filo giusto, così come rischiamo se ‘tagliamo’ il filo sbagliato”. 

Un’immagine paradigmatica “così come paradigmatico è quel costrutto della struttura neurorelazionale che ci consente e ci ha consentito, in questa mattinata, di traslare le neuroscienze nella clinica”, sottolinea la neuropsichiatra. “Dobbiamo sapere quali sono i punti cardine dello sviluppo infantile- spiega Vanadia- è fondamentale, quindi, conoscere il tempo in cui le funzioni del bambino si vanno sviluppando per tener conto di quali siano le diverse capacità dei piccoli nelle differenti epoche di sviluppo”.

La cornice da cui partire nell’osservazione “è fatta di conoscenza e integrazione ma anche dalla sensibilità personale del medico e del terapeuta”, sottolinea la neuropsichiatra. “Questa mattina abbiamo parlato dell’osservazione psicodinamica in una cornice neuroevolutiva e con questa introduzione così complessa in realtà abbiamo voluto proprio rispecchiare la complessità dello sviluppo specialmente nella prima infanzia”, precisa Vanadia. 

L’intervento della responsabile dell’Area clinica specialistica dell’IdO si è concentrato sulla fascia d’età tra zero e due anni: “Parlare di elementi legati ai primi processi di regolazione e di adattamento all’ambiente extrauterino, delle prime sintonizzazioni e delle forme protocomunicative e delle acquisizioni fino all’autonomia posturo-motoria, dell’integrazione sensoriale e della sempre maggiore autonomia attentiva, ci ha permesso di ripercorre un po’ le varie aree e le varie fasi di sviluppo affrontando gli appuntamenti che ciascun bambino ha e a cui ciascun un genitore si trova a dover assistere”. Tutto ciò considerando “che ciascun bambino ha la sua storia, il suo stile temperamentale, il suo profilo di sviluppo- dice Vanadia- e avrà e farà il suo percorso. Quello che noi possiamo fare è prevenzione, promozione e supporto alla crescita, che a volte significa definire un disturbo e individuare il corretto intervento terapeutico”.

Come si valuta dunque un bambino piccolo? “Un’anamnesi accurata rappresenta il terreno da cui partire- sottolinea Vanadia- dopo c’è l’osservazione diretta del bambino e dell’interazione con i genitori che consente di definire il profilo di sviluppo individuale e le variabili ambientali. Poi- continua la neuropsichiatra- c’è la riflessione su cosa si è osservato, quali siano le possibili diagnosi differenziali, la prognosi e l’intervento più adeguato”. E ancora, Vanadia sottolinea l’importanza “dell’interdisciplinarietà, ossia dell’integrazione con altre visite specialistiche, indagini strumentali e/o di laboratorio. Infine, il processo diagnostico orienta e si completa attraverso il percorso terapeutico”.

In questo percorso, aggiunge poi Magda Di Renzo, responsabile del servizio Terapia dell’IdO, occorre “differenziare il tipo di intervento. Non possiamo pensare che per un disturbo esista un solo tipo di intervento”. E soprattutto “dobbiamo saper riconoscere un disagio da un disturbo, possiamo fare questo se ci ricordiamo che ci sono le tante sfaccettature della normalità”, conclude la psicoterapeuta.

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