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Dalla passione alla crisi: il viaggio dell’amore coniugale in pandemia

La psicoanalista Alda Marini racconta cosa accade nella coppia e come i figli ne pagano le conseguenze

Amore, crisi di coppia e ruoli genitoriali. Come si passa dallo stato di giovani innamorati a quello di genitori arrabbiati e intrappolati in dinamiche relazionali divenute insostenibili? Questo il tema al centro del corso di aggiornamento e formazione ‘Ci prenderemo cura di te…’, organizzato dall’Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia (ANEB) di Milano per riflettere sull’impatto che la pandemia sta avendo sulle dinamiche relazionali tra le mamme e i papà.

Dove si trova oggi la famiglia contemporanea? Ecco la domanda da cui si è partiti per delineare l’immagine delle relazioni familiari e della coppia, anche in seguito alle pesanti restrizioni dettate dall’emergenza sanitaria. È evidente, infatti, come la funzione della famiglia sia stata caricata di
aspettative, finendo per diventare il luogo di massima manifestazione delle contraddizioni e dei conflitti. Così il nucleo familiare, che si struttura sulla relazione di coppia, si è trovato a possedere sempre meno strumenti per contenere ed elaborare tutte le sfaccettature emotive che una realtà sempre più complicata richiede. Ed è allora che implode, sommerso da dinamiche che non può più gestire, soprattutto in presenza di figli, laddove, oltre alla coppia coniugale, prende forma la coppia genitoriale. Come si arriva a questo? A rispondere è Alda Marini, psicoterapeuta, psicoanalista ed esperta in psicosomatica dell’ANEB, nonché relatrice (insieme alla responsabile del servizo Terapie dell’Istituto di Ortofonologia – IdO, Magda Di Renzo) della giornata formativa che si è svolta in modalità online lo scorso 5 giugno.

“La coppia coniugale nasce in primo luogo come frutto dell’amore passionale che rapisce il cuore e unisce anima, spirito, corpi, in un’indefinitezza fusionale e in un’esaltazione che a volte fa ‘perdere la testa’. In questa fase gli innamorati, nell’intensità relazionale- spiega la psicoanalista- sviluppano fantasie l’uno verso l’altro. Quando il rapporto è profondo compare un’intuizione potente di nuclei identitari non ancora sviluppati, che l’occhio sensibile dell’innamorato coglie nell’amato e che la relazione aiuta a nutrire”.

“Lo sguardo intenso nutre quel seme e, in quello sguardo- continua Marini- il seme dà i suoi frutti: l’amato dà corpo a progetti, si sente la persona piena di doti e di talenti che l’innamorato gli fa vedere. E’ un periodo che contiene potenti spinte individuative reciproche”. Con il passare del tempo, continua la psicoterapeuta, “l’amore passionale fa posto alla creazione della coppia stabile: a questo punto la relazione evolve fino al raggiungimento della fiducia e del conforto reciproco. Il legame si basa sulla stabilità, la sicurezza della relazione che si genera fra due individui che decidono di unire le loro vite, i loro progetti, di farsi compagnia tutta la vita, di condividere le scelte, l’abitazione, le vacanze, le amicizie. Insomma mentre nell’amore passionale sembra parli solo il cuore, qui appare protagonista l’Io, la volontà, la razionalità, il progetto concreto. Questa fase- specifica ancora la psicoterapeuta- non esclude il sentimento ma lo corona, gli crea un regno. E in un regno ci sono regnanti, ci sono le regole, un’organizzazione e un lavoro alacre che ne permette il funzionamento. Un regno non va giudicato istante per istante, ma nella sua durata. Solo il tempo che passa, l’accettazione del sacrificio, del conflitto, dell’imperfezione dell’altro, garantiscono un’unione, al di là di ogni idealizzazione”. Ed è su questa base che si crea generalmente la coppia genitoriale. “La nascita di un bambino dà vita a un impegno immenso- ricorda Marini- in quanto i genitori rappresentano anche l’ambiente psichico in cui si sviluppa la mente del figlio. Per Jung esiste un universo emotivo indistinto fra genitore e bambino, che lega in un’unica psiche l’individualità già formata del genitore con quella non ancora definita del figlio. Nella fase in cui ancora il processo di separazione non si è compiuto, avviene, per così dire, la ‘contaminazione’ dell’inconscio del bambino con parti d’ombra non riconosciute dal genitore. Un ‘contagio’ che si manifesterà nella vita adulta sotto forma di ‘imitazione’ o ‘protesta’ coattive nei riguardi del genitore”, afferma la psicoterapeuta.

“In particolare- prosegue Marini- Jung insiste sul potere condizionante dell’ombra familiare sulla psiche del figlio, sostenendo che ‘i bambini reagiscono molto meno a ciò che dicono gli adulti che non agli imponderabili fattori dell’atmosfera che li circonda’. Jung sottolinea a più riprese che ‘La vita non vissuta dei genitori ricade sui figli(à) a livello inconscio essi sono cioè costretti a orientare la loro vita in modo da compensare ciò che è rimasto irrealizzato nella vita dei genitori'”.

Concretamente, cosa produce questo all’interno delle dinamiche familiari? “Il fatto di essere costretti a vivere la vita non vissuta dei genitori porta una tossicità per il bambino-  replica Marini- malgrado i genitori tendano spesso a bonificare quello che accade ai figli per non confrontarsi con i propri fantasmi, la nemesi arriva. Da un problema psichico del figlio a una sindrome somatica, anche il Sé del figlio inizia a parlare lanciando messaggi a volte tragici. A questo punto l’intrico fra genitori e figli inchioda definitivamente il genitore alla responsabilità. Responsabilità innanzitutto verso se stesso, in quanto la chiamata delle parti di Sé inesplorate sembra possedere una forza che supera la barriera della vita stessa e si propaga dal passato al futuro”. E allora, chiarisce la psicoterapeuta, “il genitore sufficientemente buono, parafrasando Winnicott, è colui che vive in pace con se stesso, con i propri compiti evolutivi, che ha preso coscienza del suo mondo interno o comunque ha trovato un valido compromesso, non solo per l’Io ma anche per il Sé”. Basta però un attimo di disattenzione, avverte la psicoanalista, “e genitori e bambini si ritrovano a rappresentare un momento o una scena di un altro tempo. ‘Il bambino appare un partner silenzioso e il genitore sembra essere condannato a rappresentare nuovamente la tragedia della sua infanzia’. Solo la terapia permette, attraverso il ricordo, il riconoscimento delle parti proiettate- conclude- liberando la famiglia dall’ospite non invitato che si è intrufolato nella relazione”.