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Disturbi, Montecchi (Neuropsichiatra): Dietro i Dsa ci sono le emozioni

Di Renzo (IdO): Cercare le origini non significa colpevolizzare i genitori

“Dietro i disturbi d’apprendimento (Dsa) ci sono le emozioni, ma per un genitore è molto più facile accettare che un figlio abbia una difficoltà prestazionale piuttosto che emotiva. Le prestazioni, infatti, sono qualcosa di concreto, che non coinvolgono la famiglia. Le difficoltà emotive, invece, fanno sentire il genitore coinvolto, colpevolizzato, responsabile e quindi è molto più impegnativo per lui accettarle”. Francesco Montecchi, neuropsichiatra infantile e presidente della Onlus ‘La cura del girasole’, affronta il tema nel corso della seconda giornata precongressuale dell’Istituto di Ortofonologia (IdO). Un confronto in diretta YouTube con Magda Di Renzo, responsabile del Servizio Terapie IdO, e Andrea Pagnacco, neuropsichiatra infantile IdO.

“I genitori dovrebbero tollerare che un figlio possa avere delle difficoltà- sottolinea ancora Montecchi- e pensare che tutti gli esseri umani possono vivere dei momenti di disagio”.  Magda Di Renzo rafforza le sue parole: “Un sintomo ha sempre un significato che dobbiamo decodificare- dice- Non possiamo vedere un disturbo senza considerare la storia del bambino”, sottolinea la psicoterapeuta. “Ma avere quest’ottica complessa ha sviluppato nella collettività l’idea che noi terapeuti vogliamo sempre trovare delle colpe. Invece- dice- cercare le origini di un disturbo non significa distribuire colpe, al contrario significa alleggerire i genitori da quelle che si portano dietro”. Il principio ribadito poi da Montecchi è che “il bambino va visto nella sua globalità, non va connotato subito in modo schematico”.

Oggi si conta che il 4% della popolazione nazionale sia dislessica, uno dei disturbi d’apprendimento più diffusi. “Ma le diagnosi sono molte di più”, sottolinea Montecchi. “E’ frequente che i dislessici abbiano un livello intellettivo elevato- dice il neuropsichiatra- ma  se un ragazzino ha un buon livello intellettivo e un sufficiente equilibrio emotivo, allora più che inserirlo in un percorso di riabilitazione, lo inserirei in un percorso di osservazione. Questo perché spesso la persona dislessica ha delle grandi risorse. E’ dislessico- spiega Montecchi- secondo la nostra visione centrata sulla prestazione, ma in realtà può avere un sistema di funzionamento diverso dal nostro. Tant’è vero- aggiunge il neuropsichiatra- che si vedono molte persone dislessiche che nel corso della crescita, se non vengono inserite subito in un percorso di logopedia o di riabilitazione, hanno delle risorse per trovare la capacità di gestire la loro dislessia e talvolta trovano delle soluzioni creative”. Dunque l’indicazione di Montecchi è di “non inserire sempre i dislessici in percorsi di riabilitazione, ma di prendere in considerazione il loro livello intellettivo, il funzionamento emotivo, vedere che risorse possono mobilitare e poi sostenere i genitori a reggere la dislessia del figlio”.  Una considerazione che parte da anni di esperienza: “Ho visto tanti ragazzi e adulti ex dislessici che sono riusciti a organizzare i propri processi mentali e le proprie capacità di lettura/scrittura in un modo che una riabilitazione non potrebbe fare”, conclude il neuropsichiatra.