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Con modello DERBBI IdO ottimi risultati per oltre il 40% dei bimbi a rischio autismo

Vanadia (NPI): La terapia cambia in base alle fasi evolutive e coinvolge i genitori

“Il 42% dei bambini che era a rischio di sviluppare la sintomatologia autistica secondo l’ADOS-Toddler, dopo 2 anni di terapia basata sul modello DERBBI non ha più mostrato questo pericolo”. Sono questi alcuni dei risultati di uno studio pubblicato sull’International Journal of Psychoanalysis and Education per illustrare l’approccio terapeutico del modello DERBBI (Developmental, Emotional Regulation and Body-Based Intervention), sviluppato e applicato da anni dall’Istituto di Ortofonologia (IdO). Un modello evolutivo-relazionale a mediazione corporea che si colloca tra gli interventi di tipo evolutivo-interattivo per i disturbi dello spettro autistico, con una particolare attenzione all’età pediatrica. “Questo modello ha la peculiarità di seguire le fasi evolutive- spiega Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile IdO, tra gli autori della ricerca- significa che man mano che il bambino cresce, e man mano che aumenta il tempo di terapia, dal momento della presa in carico in poi, il modello si trasforma “insieme al bambino” e alla sua famiglia, che è parte integrante del progetto abilitativo-riabilitativo ed educativo”.

La ricerca sul progetto DERBBI verrà presentata nel corso delle giornate precongressuali dell’IdO in programma il 24 e 25 ottobre. Un appuntamento organizzato in vista del congresso per i 50 anni dell’Istituto in programma il prossimo aprile. (Qui tutte le informazioni per seguirle in diretta streaming).

Lo studio dell’IdO descrive i sintomi e gli esiti dello sviluppo globale, compreso quello emotivo dei bambini con disturbi dello spettro autistico di età compresa tra 21 e 66 mesi, dopo 2 dei 4 anni di terapia. Il gruppo di ricerca include sia bambini che hanno ricevuto la diagnosi che bambini (sotto i 30 mesi) che hanno un rischio di sviluppare sintomi. Sono stati studiati anche i miglioramenti che i piccoli pazienti hanno mostrato nella loro capacità di comprendere le intenzioni degli altri e di contagio emotivo. “I risultati di questo lavoro- si legge nella ricerca- suggeriscono la possibilità di individuare, tra gli autismi, una sottopopolazione che ottiene maggiori benefici da un modello di intervento evolutivo”.

Il modello DERBBI tiene conto dei diversi livelli di sviluppo del bambino anche “rispetto alla sua età cronologica oltreché all’età mentale- spiega Vanadia- Per questa ragione abbiamo voluto definire una metodologia che proceda un po’ per età e anni di terapia, quindi come impostare l’intervento al primo anno, al secondo, al terzo e così via. Chiaramente all’inizio diamo grande spazio ai genitori, perché l’elaborazione del vissuto di malattia, delle difficoltà del disturbo, della diagnosi e la comprensione dei bisogni che i bambini autistici esprimono in un modo diverso da quello che noi tutti ci aspettiamo, merita un grande spazio e un tempo all’interno del progetto terapeutico- dice la neuropsichiatra- In questi primi due anni una forte attenzione è anche dedicata allo sviluppo senso-motorio del bambino. Come sappiamo la sensorialità nei bambini con disturbi dello spettro autistico è frequentemente alterata e questo rischia di frammentare le loro esperienze ancora prima che possano affrontarle cognitivamente. Inoltre, sappiamo che il movimento e l’integrazione della percezione del movimento nel bambino piccolo sono i primi strumenti di conoscenza, solo successivamente si potrà lavorare su abilità specifiche di tipo linguistico e cognitivo, perché avremo dato i presupposti per la comunicazione, l’apprendimento e per l’utilizzo del potenziale cognitivo che ciascun bambino possiede”, sottolinea l’esperta.

A riprova di questo Vanadia ricorda che “i dati confermano che indipendentemente da un lavoro specifico di tipo cognitivo, i bambini a distanza di due anni dalla presa in carico esprimono il loro potenziale anche aumentando il quoziente intellettivo. Trovano quella regolazione che gli consente di esprimere quello che era il loro potenziale”. La neuropsichiatra infantile tiene poi a sottolineare “un aspetto che riguarda gli indici predittivi, perché a livello scientifico internazionale- dice- vengono riconosciuti come predittori positivi dell’evoluzione di un disturbo dello spettro autistico la presenza di linguaggio e di un buon quoziente intellettivo. Questi- conclude Vanadia- rappresentano gli indicatori di un disturbo autistico ad alto funzionamento. Noi, invece, ribadiamo che seppure siano indicatori generali e certi, molto spesso, soprattutto nei bambini dai 18 mesi ai 4 anni, è possibile che la difficoltà di regolazione – che può essere emotiva, sensoriale, attentiva e comportamentale – interferisca a tal punto da non consentire al bambino di esprimere il suo potenziale anche a livello comunicativo-linguistico e cognitivo”.